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Un libro che mostra il pacifismo come dovrebbe essere

Che cos’è la pace? Come si mantiene e come si evitano i conflitti come quello tra Ucraina e Russia o Israele e Palestina?
Nell’epoca della guerra ibrida, delle verità liquide e della propaganda virale, essere pacifista ed essere contro la guerra sono due parole che spesso non coincidono. Questo libro nasce da un’urgenza: ricostruire un pensiero critico sulla pace, fondato su un’etica della verità e su una comprensione matura del conflitto.

Smaschera i moralismi che paralizzano l’azione politica, denuncia l’ambiguità di certi “movimenti per la pace” e difende una posizione scomoda ma necessaria: “Si vis pacem, para bellum” – se vuoi la pace, prepara la pace e difendila con strumenti adeguati. Anche con le forze armate, quando sono al servizio della libertà e della giustizia.

È il libro che i pacifinti odieranno, ma che ogni vero pacifista dovrebbe leggere. Non predica la guerra, ma ne denuncia la rimozione ideologica. Sostiene che il ruolo delle forze armate nei processi di pace non è una contraddizione, ma un paradosso necessario. A patto che siano democraticamente controllate, vincolate al diritto internazionale e impiegate non per opprimere, ma per proteggere.

Il libro analizza le trasformazioni del conflitto contemporaneo, dal Kosovo all’Ucraina, passando per Gaza e la Siria, affrontando i dilemmi della guerra giusta, della deterrenza, dell’intervento armato, della disinformazione e del cosiddetto “doppiopesismo morale”. Il tutto con uno stile polemico, diretto, ma sempre documentato.

Ampio spazio è dedicato alla disinformazione come arma di guerra: non solo attraverso l’analisi dell’Internet Research Agency, delle operazioni di astroturfing, del caso Doppelgänger, ma anche nella sua penetrazione nei dibattiti pubblici occidentali. Vengono smascherate le logiche dietro il cosiddetto “neutralismo” e le strategie con cui potenze autoritarie infiltrano narrazioni distorte in nome della pace.

Ma c’è anche una proposta. Una visione. Quella di un pacifismo politico, consapevole, strategico. Un pacifismo che sappia dire “no” alla guerra senza dire “sì” alla resa. Che impari a usare le tecnologie dell’informazione, i canali digitali, la media literacy, il lateral reading, per contrastare la manipolazione. Che reclami trasparenza, pretenda responsabilità, difenda i media indipendenti, costruisca comunità di resilienza cognitiva.

Chi ama la pace non può restare in silenzio mentre si spara sulle democrazie. Non può fingere che la neutralità sia una virtù quando il silenzio è complicità. L’equidistanza tra carnefice e vittima non è imparzialità, è complicità. Il pacifismo, oggi, o è lucido e radicale, oppure è inutile.